Bene mio e core mio
2 atti e 3 quadri di Eduardo De Filippo
una commedia di altissima intensità drammaturgica e attorale
regia di
Rosa Startari
una commedia abbastanza cattivella
Chiarina e Lorenzo Savastano, maturi e agiati fratelli, convivono nell’appartamento di famiglia, il luogo che è stato “la culla della loro infanzia”. Lorenzo è un restauratore di quadri, Chiarina si occupa della casa e delle necessità del fratello. La loro vita scorre tranquilla, senza apparenti conflitti, ma il sospetto di un ipotetico matrimonio di Lorenzo scatena un furioso e imprevedibile litigio tra i due fratelli.
Lorenzo, esasperato, decide di partire per un viaggio di lavoro all'estero. Chiarina, rimasta sola, cede alle profferte amorose del giovane verduraio Filuccio. Al suo ritorno a Napoli qualche mese dopo, Lorenzo avrà una sgradita sorpresa e dovrà affrontare un'astuta trama ordita a suo danno, in una girandola di sentimenti e situazioni che vedrà coinvolti i tanti personaggi che animeranno la scena.
Qualche curiosità:
Il titolo "Bene mio e core mio" richiama una tipica espressione napoletana che significa mostrare un affetto ipocrita per una persona che invece risulta sgradita ma può essere utile per raggiungere i propri scopi.
Nell'introduzione all'edizione televisiva del '64 Eduardo precisò: "[...] noi vediamo tutti i raggiri, [...] tutti i mezzi, tutti i sotterfugi che usano questi familiari per fare i propri interessi. E' un gioco, una girandola. E' una commedia abbastanza cattivella".
La canzone d'amore interpretata da Filuccio nel primo atto fu scritta da Eduardo e pubblicata dalle Edizioni Musicali Italcanto di Milano nel 1955. Tra i vari estimatori della commedia spicca il poeta Salvatore Quasimodo, che riconobbe ad Eduardo la capacità di rinnovarsi pur senza rinnegare le proprie origini.
"Bene mio e core mio", scritta da Eduardo tra l'estate e l'autunno del 1955, fu rappresentata per la prima volta al Teatro Eliseo di Roma l'11 novembre dello stesso anno. Eduardo ne ripropose una versione televisiva per la RAI nel 1964. L'ultima versione teatrale, frutto di modifiche apportate al testo originario, fu portata in scena nel 1983 dalla compagnia di Isa Danieli.
i lacci troppo stretti
possono farci inciampare
In una lettera del 1946, Eduardo De Filippo scrive a suo fratello Peppino: “Tu dici: Siamo fratelli. Certo. E chi più di me ha saputo affrontare e comprendere questo sentimento? Credi tu che da estraneo avresti potuto infliggermi le torture morali che sistematicamente, minuto per minuto, mi infliggevi?”
Difficile non sentire l'eco di queste parole in "Bene mio e core mio". I peggiori torti sono quelli ricevuti dai parenti più stretti. I rapporti familiari si rivelano "lacci" che stringono e tengono incatenati. Sotto la facciata dell'affetto "esemplare", si nascondono incomprensioni e malumori, tenuti sotto chiave per anni, pronti ad esplodere quando la routine quotidiana si interrompe.
In scena vediamo famiglie "mutilate". Padri, madri e mariti sono morti e hanno lasciato i sopravvissuti in una sorta di bilico: impegnati, da una parte, nella conservazione di un passato idealizzato, dall'altra, ansiosi di sbarazzarsi dei condizionamenti di quell'eredità.
Sin dall'inizio, campeggia in scena una tela dipinta bianca, che si richiama esplicitamente alla scuola dei White Paintings. La forza di queste tele sta negli spostamenti di attenzione richiesti all'osservatore: impongono di rallentare, di guardare più volte, magari da vicino (come fa Matilde in scena), di ispezionare le mute superfici dipinte in cerca di sottili cambiamenti di colore, di luce e di significati. Di nascondimenti.
"Come gira il mondo e quante sorprese ci riserva" dirà Lorenzo sul finire della commedia. I piani si ribaltano più volte, le prospettive si rovesciano in modo imprevedibile.
Nove attori in scena in una girandola di sentimenti e situazioni.