Come si rapina una banca
3 atti di
Samy Fayad
quanta fatica per diventare "normali"!
regia di
Vincenzo La Camera
la commedia
… è una vicenda di diseredati. I personaggi agiscono in una condizione di perenne subalternità al caso, o meglio “sono agiti” dal caso, dalla “combinazione” intesa come evento imprevedibile, che a volte risolve ed altre complica, ma che, con il suo immanente interferire, costantemente alimenta e radica un sentimento di precarietà di fronte ad eventi che chi vive ai bordi della società non riesce mai a determinare secondo logiche comuni.
I personaggi della commedia sono irrimediabilmente emarginati, e soli, incapaci di imboccare la via del riscatto anche quando, cercando sgangheratamente di “fare gruppo”, tentano le soluzioni più disperate per irrompere finalmente nella società dei “normali”, di quelli che hanno un “metro di cento centimetri”; in verità, ancor più che incapaci di riscattarsi, sono impossibilitati a farlo, schiacciati e quasi sospinti al fallimento da quell’atavica e indistinta percezione - profonda e inestirpabile nei napoletani che oggi hanno preso il posto dei lazzari di borbonica memoria - di aver perso a un certo punto della propria storia il passo delle altre genti, l’appuntamento con il futuro.
Sullo sfondo della speculazione selvaggia, frutto di un’anticultura pronta a seppellire sotto redditizie colate di cemento le testimonianze, anche materiali, delle identità individuali e di popolo, i personaggi sono ostaggio di forze che li dominano ed espressione di un passato costantemente minacciato di essere cancellato dopo di essere stato spogliato della sua ricchezza. Il nemico è la società di massa, con la sua insofferenza verso le specificità e con la sua strumentale proposizione di una felicità simulata. La commedia, che ha il suo punto di forza in una crescente e irresistibile comicità, in chiave diversa si presterebbe a trasformarsi nel dramma tutto napoletano del voler essere ad ogni costo, anche a rischio della propria distruzione, attraverso soluzioni miracolistiche suggerite dagli effimeri modelli imperanti, illusoria scorciatoia della faticosa e plurisecolare strada da percorrere per riavviare il corso di una storia interrotta che, senza appiattire le differenze sociali in un’artificiale omogeneità, rimuova l’insicurezza esistenziale infiltrata nelle coscienze. Il lieto fine della storia, che puntualmente arriva, è solo superficiale apparenza; tutti i personaggi, chi più chi meno, al termine della vicenda portano a casa un risultato: da chi vede ormai garantito il pasto quotidiano a chi può “dare un cognome” al proprio bambino, a chi esce da un’annosa solitudine, a chi finalmente vede finanziato l’inutile prototipo della sua impossibile invenzione. Ma la battaglia vera, quella per la conquista di un’autentica e duratura dignità, quella non la vince nessuno ...